Chi ha (ancora) paura del web? - Il Quattro - studio di idee
 

Prima degli ultimi 4-5 anni ho avuto poche occasioni per incespicare nella parola “polarizzazione”, intesa come di concentrazione di valori opposti nella società. Ma da qualche tempo a questa parte, causa beghe della politica e risse tra “tifoserie” consumate sui social network, ho cominciato a sviluppare un certo interesse speculativo per il fenomeno. C’è sempre più gente che la vede bianca o nera, sempre meno in grado di cogliere le sfumature della realtà, che è invece complessa per definizione.

Il mondo dell’informazione e della comunicazione in generale non ne è immune, anzi, spesso si fa più o meno consapevole veicolo di “polarizzazione”. Addirittura nei confronti della sua natura, della sua identità presente e prossima. Mi riferisco alla diatriba, tutta interna al settore, tra i fautori della svolta digitale e i sostenitori della tesi per cui la rete sia amica del giornalismo – così come abbiamo imparato a conoscerlo - quanto può essere amico del genere umano un colossale asteroide in rotta di collisione con la Terra. I primi hanno consegnato entusiasticamente il cuore al web in tempi non sospetti e gli altri, obtorto collo, stanno ancora cercando di adattarsi alla situazione tra sospiri di nostalgia. Dico adattarsi perché c’è stato un tempo, nemmeno lontanissimo, in cui le menti più retrive del panorama editoriale erano assolutamente certe dell’incrollabilità della carta stampata. Poi il progressivo calo delle vendite ha fatto loro cambiare idea, ma ad oggi, e siamo nel 2020, tanti fra i sopravvissuti non hanno ancora ben deciso che pesci pigliare per non morire di stenti.

Senza la presunzione di possedere verità assolute, credo che entrambi gli atteggiamenti siano sbagliati. Nel complesso Internet non ha migliorato il mondo dell’informazione, non l’ha peggiorato, non l’ha reso più democratico e nemmeno ha prestato il fianco a derive autoritarie. L’ha semplicemente cambiato. È inevitabile che il signor Pinco Pallo, potendo accedere dal proprio smartphone ai siti di un numero incalcolabile di testate giornalistiche, non sempre se la senta di andare in edicola e spendere per ciò che gli viene recapitato in tasca senza costi apparenti. Ma questo non significa che le stesse testate non abbiano modo di fatturare, altrimenti dovremmo attribuire il successo di alcune note televisioni commerciali, da sempre rette dall’introito pubblicitario, a forze sovrannaturali e taumaturgiche. Qui non voglio addentrarmi in riflessioni sui meccanismi del digital marketing, sui motori di ricerca, sul posizionamento, sull’inseguimento del click su come questo alimenti le fake news. Dico solo che il mutamento di paradigma non è necessariamente una sciagura, così come sarebbe da cretini ritenerlo il più grande traguardo raggiunto dalla nostra specie. Banalmente, si chiama progresso.

Lecito chiedersi: le pubblicazioni su carta sono davvero destinate a diventare archeologia? Sì e no. Mi riesce difficile immaginare un futuro cartaceo per i quotidiani, ottimo esempio di oggetto “usa e getta”, che ormai arrivano nelle edicole carichi di notizie già ampiamente sviscerate in tempo reale sul web. Faccenda molto diversa quella delle pubblicazioni di settore e specialistiche, senza dimenticare quelle riviste periodiche meritevoli di essere conservate anche dopo averne letto tutti gli articoli.

La carta ha il suo fascino, visivo e tattile. E, se vettore di contenuti all’altezza, è eccellente testimone di qualità. Una grande opportunità di distinzione si apre oggi a un certo tipo di editoria tradizionale, e paradossalmente è proprio Internet a offrirgliela. Da un lato la comparazione a qualcosa di impalpabile come i bit dà allo stampato maggior prestigio (e valore), dall’altro navigando online gli appassionati possono scoprire, più facilmente di prima, prodotti editoriali adatti ai loro gusti. Non a caso moltissimi magazine sono nati qua e là nel mondo all’indomani della rivoluzione digitale, tra cui tante pubblicazioni lanciate grazie alla raccolta di finanziamenti su siti come Kickstarter. In sintesi: finché ci saranno buone idee, finché ci saranno la cultura del lavoro e un sano senso etico-professionale, finché la creatività e la curiosità continueranno ad albergare nel cuore di noi poveri homo sapiens, certi mestieri continueranno a esistere. Compresi quelli del giornalista e dello scrittore. Avranno forme diverse, questo sì. Ma è così importante?

Stefano Sedino
Stefano Sedino
Preferisco il mare alla montagna, fra le bevande analcoliche apprezzo solo l’acqua tonica.

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